sabato 4 giugno 2022

SAYURI

Sayuri era una ragazza giapponese di 22 anni, all’ultimo anno di università alla Kyoto University, dove studiava lingue straniere e qualcos’altro correlato a queste, forse letteratura americana. Era nata nel 1992 a Sapporo, in Hokkaido, ma la passione per i film americani l’aveva spinta ad approfondire le sue (e non solo sue, ma del 99% dei giapponesi) mediocri conoscenze di inglese e iscriversi alla migliore università di lingue straniere del paese. Sayuri era la tipica ragazza giapponese nella testa di un occidentale che immagina una ragazza giapponese: come uno stereotipo vivente, era bassina, carina, capelli a caschetto, sorriso con guanciotte timide, occhietto dolce ed imbarazzato, e parlava solo se era qualcun’altro a darle la parola. 

Quando la conobbi, durante un barbeque sulla riva del fiume Kamogawa, accanto alle montagne che segnano il confine occidentale di Kyoto, mi accorsi subito che incarnava il mio ancora acerbo ideale di ragazza. Nel momento in cui le strinsi la mano era sotto braccio ad un francese dalla risata spavalda, il quale, nel frattempo, stava abbracciando anche la migliore amica di Sayuri, una più in carne ed estroversa ragazza di Nagoya di nome Miyako. Credo che Sayuri fosse già brilla, come tutti gli altri trenta della compagnia, ma prima che tornasse in taxi in dormitorio riuscii fortunatamente a scambiare il contatto facebook, e anche con l'amica Miyako, che sennò sembrava brutto. 

 


 

Appena a casa, notte fonda ormai, ero ancora su di giri per il mio primo barbecue giapponese e per i traghetti di alcool ancora in corpo, per questo rifiutai l’invito del letto e mi buttai al computer con l’intento di spulciare il profilo social della mia nuova fiamma. Ma l’eccitazione si spense subito: non fu necessaria un’analisi dettagliata per scoprire che Sayuri era fidanzata con un certo Tom che era nato ad Amsterdam, il quale, tra due bestemmie, fu subito etichettato come un rompicazzo guastafeste maledetto.


Quel barbeque si fece nell'ottobre 2013, una settimana dopo il mio arrivo in Giappone, e da allora, a parte due mi piace a due foto su facebook, un mio commento ed una sua risposta, Sayuri rimase solo una giapponese carina di cui avrei volentieri approfondito la conoscenza, ma di cui, allo stesso tempo, non riuscivo ad avere nessun flash erotico, per via dell’innocenza e della dolcezza puerile che mi trasmettevano i suoi occhi.
Finché non arrivò capodanno, e Sayuri, con la scusa degli auguri, si dilungò fin troppo in una conversazione nella chat di facebook. Lei in quel momento era ad Amsterdam dal ragazzo, e io ancora sotto effetto dell’hangover della nottata precedente in discoteca, ma nonostante questo riuscii a gestire bene le poche energie celebrali e a portare avanti una chiacchierata di una o due ore, totalmente priva di contenuti, né tantomeno allusioni sensuali, ma comunque piacevole, principalmente per il fatto che chi mi stava scrivendo era una ragazza carina, con le labbra soffici e il caschetto nero che mi piaceva tanto. Ci scrivemmo bye bye, e dopo quel pomeriggio seguirono altri 9 giorni di elettrocardiogramma piatto, in cui, nonostante ne fossi tentato, non le mandai nessun messaggio: illudermi con una ragazza fidanzata era un’esperienza che non avrei mai più voluto ripetere. 

Finché il 9 gennaio 2014, appena tornato a casa da scuola, non trovai un suo messaggio nella solita chat di Facebook: Ciao, come stai? Sei impegnato oggi? Ti va di venire a casa mia? Ho bisogno di parlare.
Me l’aveva inviato all’una circa, ma non potendo usare internet senza wifi fui in grado di risponderle solo tre ore più tardi. Ciao, tutto bene grazie, certo che posso venire, dove abiti?
Replicò un paio d’ore dopo: Scusami mi ero addormentata. Ora è tardi, vuoi venire domani pomeriggio? A qualunque ora va bene, ti mando una mappa e l’indirizzo del mio appartamento.


La mappa era nient’altro che la foto di un foglietto a quadretti A5 su cui aveva pastrocchiato la parola Sanjo-Nishikoji, l'incrocio accanto al suo palazzo, al centro di una croce, ai cui quattro angoli traballavano dei quadrati con su scritto Joy, restaurant, in basso a destra, 100yen shop Lawson, in alto a destra, フォース (fōsu, che non ho mai capito a quale negozio facesse riferimento) in alto a sinistra, e un 7 in basso a sinistra, probabilmente riferito al convenience store seven eleven, accanto al quale spiccava entusiasta un cerchio al cui interno era sottolineato my house

Tutto chiaro. 

Per fortuna ho un buon senso dell’orientamento, e dopo aver decriptato i codici grazie a Google Maps ho scoperto che la mia scuola, alloggiata a pochi passi dalla stazione Gojo-Karasuma, distava a piedi 55 minuti da casa sua. Non ho volutamente considerato l’opzione di muovermi con l’autobus, non tanto perché sono (molto) tirchio, più che altro perché ogni scusa era buona per assaporare, centimentro dopo centimetro, zone nuove della città più bella del mondo. Ero eccitato per la mia imminente avventura, non vedevo l’ora di godermi quella lunga camminata preliminare all’incontro con Sayuri, umilmente bramato dal primo giorno che l’avevo vista.

 ... continua...

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