sabato 7 giugno 2014

変な 気持ち . . . strane sensazioni

La cosa più bella dell'estate è camminare la notte, godersi il fresco dell'aria, il profumo delle piante nel pieno del rigoglio e il silenzio della strada.
La goduria raddoppia se hai la fortuna di vivere in Giappone: lo stato delle strade è praticamente perfetto, asfalto, marciapiede... le piante e i fiori convivono quasi armoniosamente con il legno e/o il cemento delle costruzioni umane... 
la microcriminalità è praticamente inesistente, le donne, di ritorno a casa dopo una nottata fuori, camminano tranquillamente per le stradine buie con gonna e tacchi alle 3 di notte, anche in una metropoli come Osaka, e non è raro vedere bici da corsa del valore di migliaia di euro lasciate parcheggiate sul marciapiede senza catena.
Chi non ha mai fatto esperienza del Giappone, difficilmente può comprendere le sensazioni che può offrire.
Io ci sono abituato, infatti oggi la mia "strana sensazione" dipende da altro, da un evento che ti fa piombare nella "cazzo kimochi", come si dice da queste parti... ovvero quando dici "ma cazzo...!!"

Ma oggi i fatti miei me li tengo miei. Ma queste foto le voglio condividere:







Distributore di birra e sake


mercoledì 4 giugno 2014

La consapevolezza di un addio

Il Giappone non c'entra, difficilmente dirò addio a questo paese prima del mio viaggio agli inferi, o paradiso, che dir si voglia... 

Stavolta uso il blog per liberare uno sfogo troppo grande da rinchiudere nel mio fegato, già troppo gonfio di inutili pensieri.
Forse non a tutti è capitato (per fortuna) di vivere una sensazione a dir poco surreale, ovvero quella di dover ammettere a a se stessi che non c'è più nulla da fare, non c'è più alcuna strada se non quella dell'abbandono della persona che si ama.

La morte di un caro può far vivere sensazioni simili, ma in questo caso mi riferisco al momento in cui si è costretti ad interrompere improvvisamente una relazione nel pieno dell'amore, della passione, senza il volere di nessuna delle due parti ma solo per causa esterna.
Nella testa corre un pensiero senza trovare una via d'uscita, la strada è ostruita da un muro immenso, non è come al solito in cui, in momenti di ansia, il cervello riesce ad elaborare le possibili soluzioni... no, la mente è come bloccata, pare surreale che di una cosa in quel momento tanto importante, tanto vitale, si debba far a meno. 
La vista si oscura, il corpo si agita, in testa risuona il pensiero "ma come è possibile, no non è possibile, e ora? No no..." fino al momento in cui, per uscire da questa situazione, il corpo ci impone di piangere.

La prima volta mi accadde quando abbandonai Milano, nella mia casa in China Town.
La seconda volta, ancora la China colpevole, ma senza Town.
Suzhou, 14 anni dopo il 2000, o 4 anni dopo il 2010, insomma il 4 maggio 2014. Ora 1.00 circa, dopo un lungo banchetto d'amore, benché lontani dall'essere sazi decidiamo di lasciare l'appartamento per sperare di trovare un taxi nel cuore della notte. Non posso permettermi di fare pazzie dato che l'aereo per Osaka sarebbe partito la mattina successiva. Fa freschetto, io solo con un maglione, lei in vestaglia, passiamo gli ultimi istanti insieme proteggendoci l'un l'altro dal vento. Arriva il taxi, lei spiega l'indirizzo del mio albergo al taxista, dopodiché mi bacia e mi saluta come se dovessi tornare da lei 2 settimane dopo.

Qualche giorno dopo, sono (solo) nel mio letto Kyotese quando capisco che quell'immagine che ho di lei, in piedi a seguire con lo sguardo il mio taxi che si allontanava, sarebbe stata probabilmente l'ultima. La sensazione di impotenza di fronte ad un addio immaturo.