mercoledì 4 giugno 2014

La consapevolezza di un addio

Il Giappone non c'entra, difficilmente dirò addio a questo paese prima del mio viaggio agli inferi, o paradiso, che dir si voglia... 

Stavolta uso il blog per liberare uno sfogo troppo grande da rinchiudere nel mio fegato, già troppo gonfio di inutili pensieri.
Forse non a tutti è capitato (per fortuna) di vivere una sensazione a dir poco surreale, ovvero quella di dover ammettere a a se stessi che non c'è più nulla da fare, non c'è più alcuna strada se non quella dell'abbandono della persona che si ama.

La morte di un caro può far vivere sensazioni simili, ma in questo caso mi riferisco al momento in cui si è costretti ad interrompere improvvisamente una relazione nel pieno dell'amore, della passione, senza il volere di nessuna delle due parti ma solo per causa esterna.
Nella testa corre un pensiero senza trovare una via d'uscita, la strada è ostruita da un muro immenso, non è come al solito in cui, in momenti di ansia, il cervello riesce ad elaborare le possibili soluzioni... no, la mente è come bloccata, pare surreale che di una cosa in quel momento tanto importante, tanto vitale, si debba far a meno. 
La vista si oscura, il corpo si agita, in testa risuona il pensiero "ma come è possibile, no non è possibile, e ora? No no..." fino al momento in cui, per uscire da questa situazione, il corpo ci impone di piangere.

La prima volta mi accadde quando abbandonai Milano, nella mia casa in China Town.
La seconda volta, ancora la China colpevole, ma senza Town.
Suzhou, 14 anni dopo il 2000, o 4 anni dopo il 2010, insomma il 4 maggio 2014. Ora 1.00 circa, dopo un lungo banchetto d'amore, benché lontani dall'essere sazi decidiamo di lasciare l'appartamento per sperare di trovare un taxi nel cuore della notte. Non posso permettermi di fare pazzie dato che l'aereo per Osaka sarebbe partito la mattina successiva. Fa freschetto, io solo con un maglione, lei in vestaglia, passiamo gli ultimi istanti insieme proteggendoci l'un l'altro dal vento. Arriva il taxi, lei spiega l'indirizzo del mio albergo al taxista, dopodiché mi bacia e mi saluta come se dovessi tornare da lei 2 settimane dopo.

Qualche giorno dopo, sono (solo) nel mio letto Kyotese quando capisco che quell'immagine che ho di lei, in piedi a seguire con lo sguardo il mio taxi che si allontanava, sarebbe stata probabilmente l'ultima. La sensazione di impotenza di fronte ad un addio immaturo.

2 commenti:

  1. Quasi mi dispiace commentare un post così personale, ma leggerlo mi ha scavato dentro tra sensazioni che purtroppo conosco bene e mi ha tolto il respiro. Non c'è nulla da dire, bisogna solo vivere quel male fino in fondo, finché il tempo non inizia ad attenuarlo.
    Se stai ancora in Yonbancho tra un paio di giorni torniamo vicini di casa, magari ci si incrocia ^^

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    1. Grazie, se sono riuscito a trasmetterti tali sensazioni, significa che sono riuscito a descrivere bene il mio stato d'animo... :)
      Davvero? mi farebbe piacere! se puoi scrivimi una mail e ci becchiamo sul Kamogawa una sera di queste ;)

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